Il Giovane Holden di J.D. SALINGER (PARTE 1/3) - (The Catcher in the Rye) - 1951

Oggi, sotto la lente, piazzo un capolavoro della letteratura americana. Un romanzo di formazione che ha venduto più di sessantacinque milioni di copie e che, a distanza di quasi settantacinque anni, continua a vendere migliaia di esemplari in tutti i continenti: Il Giovane Holden.
Il titolo originale dell’opera è The Catcher in the Rye: un titolo, commercialmente parlando, intraducibile in italiano. Tuttavia, le motivazioni alla base di questa scelta di adattamento sono, a mio avviso, interessanti, sicché ne parlerò con una certa accuratezza nel secondo articolo di questa serie in tre parti.
Il giovane Holden ha avuto un impatto significativo su diverse generazioni di lettori, consolidandosi come un pilastro della letteratura adolescenziale americana. La sua fama si intreccia indissolubilmente con la vita del suo autore, J.D. Salinger, di cui parlerò nell’articolo a lui dedicato.

Il libro ha acquisito una fama controversa a seguito della sua presunta influenza su alcuni atti di ferocia efferati, tra cui l'assassinio di John Lennon e il tentato omicidio di Ronald Reagan.

David Shields (scrittore) e Shane Salerno (sceneggiatore e produttore cinematografico), in un loro lavoro del 2014, Salinger, la guerra privata di uno scrittore, dissero: “J.D. Salinger trascorse dieci anni a scrivere Il Giovane Holden e il resto della sua vita a rimpiangere di averlo fatto”.

J.D. Salinger ritratto da ragazzo
Jerome David Salinger (foto di Paul Fitzgerald; suo amico, confidente e compagno d'armi durante la Seconda Guerra Mondiale)

Se mi domandassero di chiudere gli occhi e ripercorrere con la mente le 234 pagine (nell’edizione in mio possesso) del libro, astraendo dai dettagli, ciò che restituirei sarebbe una sorta di spremitura essenziale del senso delle vicende narrate. Un viaggio di soli tre giorni, che porterà il protagonista da un luogo a un altro: tutta la storia sta nel mezzo, ovvero nel viaggio; negli incontri casuali, in quelli cercati e nella necessità di non rimanere mai solo con l’avvicendarsi delle ore, affinché la depressione non lo soffochi.

LENTE SULLA TRAMA

Il protagonista è un adolescente che risponde al nome di Holden Caulfield. Ed è lui stesso che narra, in prima persona, fatti ben circostanziati che gli sono capitati l’anno precedente; quando aveva 16 anni. «D’altronde, non ho nessuna voglia di mettermi a raccontare tutta la mia dannata autobiografia e compagnia bella, vi racconterò soltanto le cose da matti che mi sono capitate verso Natale, prima di ridurmi così a terra da dovermene venire qui a grattarmi la pancia.»

Ma dov’è che si trova nel momento esatto in cui esprime quelle parole? Si intuisce in due momenti:

  • Nelle prime pagine della narrazione. «Feci tutta la strada di corsa fino al cancello grande, e poi mi fermai un momento per riprendere fiato. Ho il fiato corto, se proprio volete saperlo. Prima cosa, sono un fumatore accanito - o meglio, lo ero. Mi hanno fatto smettere. E poi l’anno scorso sono cresciuto di sedici centimetri. Ecco in pratica com’è che mi sono beccato la tbc e sono venuto qua per tutte queste visite mediche e accidenti della malora. La salute però è abbastanza buona.»
  • Nelle ultime pagine della narrazione. Ricorda al lettore di essersi ammalato e, nel luogo in cui è ospite, c’è uno psicanalista che lo incalza di domande.

Holden comincia il suo racconto (recupero analettico) da fatti avvenuti il sabato che precede le vacanze natalizie, che cominceranno quattro giorni dopo, il mercoledì. Frequenta il prestigioso istituto Pencey (Agerstown, Pennsylvania).
In quel frangente si sta disputando un’importante partita di rugby tra scuole rivali, ma Holden non vi assiste dagli spalti, si limita a guardarla di lontano, dall’alto di una collinetta limitrofa. «Mi ricordo che verso le tre di quel pomeriggio me ne stavo là sul cucuzzolo di Thomsen Hill, proprio vicino a quel cannone scassato che aveva fatto la Guerra di Secessione e tutto quanto. Di lì si vedeva tutto il campo, e si vedevano le due squadre che se le suonavano in lungo e in largo.»
Oltretutto, non si sarebbe nemmeno dovuto trovare lì, perché lui era il manager della squadra di scherma e quel sabato avrebbero dovuto affrontare, a New York, la Scuola Mcburney. Ma per sua colpa, il match non c’era stato; per distrazione, s’era dimenticato tutta l’attrezzatura (fioretti compresi) nel vagone della metropolitana. Così, lui e i suoi compagni, furono costretti a tornare a Pencey in anticipo, proprio quando si stava disputando la partita col Saxon Hall. «La partita col Saxon Hall, a Pencey, era un affare di stato. Era l’ultima partita dell’anno e pensavano che dovevi perlomeno ammazzarti se il vecchio Pencey non vinceva.»

Se gli occhi erano alla partita, la testa aveva altri grattacapi: era stato espulso dalla scuola (circostanza alla quale era abituato) per essere stato bocciato in quattro materie su cinque; era risultato sufficiente solo in inglese. Prima di abbandonare l’istituto, però, decise di fare un salto dal signor Spencer, suo insegnante di storia, rintanato a casa perché influenzato. L’idea fu proprio del vecchio Spencer, che appresa la notizia dell’espulsione del ragazzo, chiese di vederlo. Holden era felice di andare a trovarlo, perché tutto sommato gli era simpatico. Ma della scelta fatta, si pentì subito dopo aver messo piede in casa: si rese conto d’essere stato convocato per la solita becera ramanzina degli adulti ai suoi danni. Lo ascoltò educatamente, annuì alle numerose virgole e pungolanti appunti e lasciò la casa stizzito.

Tornato al dormitorio, incontrò due suoi compagni. Ward Stradlater, che divideva la stanza con lui, e Robert Ackley, che stava nella stanza attigua con la doccia in comune. Mentre Ackley era solo un innocuo rompiscatole dai denti inguardabili, Stradlater era il tipico palestrato, belloccio e sicuro di sé. Apprezzato dalle ragazze, consapevole di esserlo ed emancipato sessualmente. E fu proprio questo a scatenare una violenta lite tra i due, culminata con un rovinoso pugno sulla faccia di Holder. Perché? Holden venne a sapere che, proprio quella sera, Stradlater sarebbe dovuto uscire con una ragazza, Jane Gallagher, una sua vecchia amica di cui era segretamente innamorato. Ipotizzando che per lui rappresentasse solo una tacca sull’agendina delle conquiste, uscì di senno e prese a insultarlo, fino all’epilogo manesco.

Holden provava dei sentimenti per Jane, anche se non ci aveva mai combinato nulla.
«Ci siamo conosciuti in questo modo, che il suo doberman pinscher aveva l’abitudine di venire a fare i suoi bisogni sul nostro prato, e mia madre finì per esserne molto seccata. Telefonò alla madre di Jane e fece un canaio d’inferno.»

Holden trovò il modo di far capire a Jane che lui e sua madre avevano visioni diametralmente opposte circa la faccenda: a lui importava un fico secco ove il cane facesse i bisogni, a detta sua poteva farglieli pure in salotto.
Com’è e come non è, divennero amici. Anzi, amici intimi, e si fece bastare quello, pur desiderando di più. «Non mettetevi in testa che Jane fosse un accidente di ghiacciolo o che so io, solo perché non abbiamo mai fatto l'amore insieme e nemmeno pomiciato un poco. Non lo era. Non facevamo che tenerci per mano, ad esempio. Vi sembrerà una cosa da niente, lo capisco, ma era fantastica quando la tenevo per mano.»

Holden era uscito con altre ragazze, ma alla fine oltre a baci e toccatine non era andato. Era rispettoso con le fanciulle, come tutti gli uomini dovrebbero essere. «Il fatto è che quando state proprio lì per farlo con una ragazza - una ragazza che non sia una prostituta o qualcosa del genere, voglio dire - quella continua a dirvi tutto il tempo di smettere. Il mio guaio è che smetto. C’è tanti che non smettono mica. Ma è più forte di me.»

Da questo si scorge l’animo di Holden, la sua sensibilità, il mantenere in secondo piano quanto le pulsioni suggerirebbero, a favore di ciò che reputa moralmente giusto.

Dopo l’alterco con Stradlater, travolto da rabbia e frustrazione verso la scuola e chi la popolava, decise di scappare a New York tre giorni prima del previsto. Acciuffò i bagagli e tagliò la corda con una uscita da campione del mondo, puntando i piedi e urlando dal corridoio il suo addio sarcastico: «Dormite sodo, stronzi!»

Holden non era un ragazzo attaccato ai beni materiali, lo dimostra pure il modo spiccio col quale si sbarazzò della sua macchina per scrivere, nonostante la scrittura fosse l’unica attività in cui riuscisse senza troppi sforzi; oltre che giocare a golf, sport che praticava dall’età di dieci anni. Così, prima di sloggiare, racimolò qualche verdone vendendola (sottocosto, per soli 20 dollari; a circa un quinto del reale valore) a un ricco studente, Frederick Woodruff, peraltro irritato per essere stato svegliato.

Ma perché Holden lascia l’istituto Pencey di notte, in fretta e furia?
Nel momento della notifica dell’espulsione gli viene detto che, dopo le feste natalizie, non avrebbe dovuto far ritorno. Era sabato e le vacanze sarebbero iniziate mercoledì. Così, pensò che fosse del tutto inutile poltrire lì la domenica, il lunedì e il martedì. Avrebbe impiegato quei giorni per una mini vacanza che a detta sua meritava altamente e, pur tornando a New York, non si sarebbe fatto vivo coi genitori, ma avrebbe vissuto defilato, in qualche alberghetto. Voleva sottrarsi all’onere di dover essere proprio lui a comunicare il fattaccio ai genitori, ovvero di essere stato espulso per la quarta o quinta volta. Preferiva di gran lunga attendere che lo scoprissero da sé, ricevendo la lettera del preside, che non sarebbe stata recapitata loro prima di martedì; così la madre avrebbe avuto tutto il tempo di calmarsi, prima di impattare contro la sagoma del figlio.

A questo punto dovrei proseguire con la trama, ma voglio fermarmi un momento per tratteggiare la figura di Holden e il contesto familiare, così come traspare dal testo.
Holden è magro, molto alto (189 cm), coi capelli a spazzola e curiosamente bianchi sul lato destro della testa; quest’ultima è una caratteristica che, alle volte, sfrutta per apparire più maturo agli occhi di chi gli nega bevande alcoliche perché minorenne; ma con scarsi risultati. È magro perché mangia poco, la colazione abituale consta del solo succo d’arancia. Quando esce, di solito prende un panino al formaggio e latte al malto, perché ricco di vitamine.
Caratterialmente è un creativo, un bugiardo patentato: mente a chiunque, spudoratamente e con piacere. Alla gente incontrata per caso fornisce spesso nomi falsi e diversi, inventa storie che non gli appartengono o che riguardano persone che conosce più o meno superficialmente.
Allo scontro fisico predilige quello verbale. Se qualcosa va storto, se qualcuno gli reca danno, non sta zitto, ma evita di finire alle mani: quelle poche volte che ha fatto a pugni, le ha sempre prese.
La famiglia è benestante. Il padre è un avvocato di successo. Holden è il secondo di quattro figli.

  • D.B., il maggiore, vive a Hollywood ed è uno scrittore affermato. Dal testo si intuisce quanto Holden lo ammiri.
  • Holden è il secondogenito, lo scapestrato della famiglia.
  • Allie, morto a 13 anni di leucemia (il 18/07/1946), quando Holden ne aveva 15. (Questo vuol dire ch’è deceduto l’anno precedente l’espulsione da scuola e la narrazione dei fatti). Più su ho detto che Holden non era attaccato ai beni materiali in quanto tali, a una cosa teneva, proprio perché non era solo un oggetto, ma tratteneva il ricordo del fratello morto: il guantone da baseball di Allie. «Mio fratello Allie, dunque aveva quel guantone da prenditore, il sinistro. Lui era mancino. La cosa descrittiva di quel guanto, però, era che c’erano scritte delle poesie su tutte le dita e il palmo e dappertutto. In inchiostro verde. Ce le aveva scritte lui, così da avere qualcosa da leggere quando stava seduto ad aspettare e nessuno batteva.»
  • Phoebe, la piccolina di casa. 10 anni. Rossa di capelli come Allie, bellissima, intelligente e matura, nonostante la tenera età. Holden impazzisce per la sorellina e ama conversare con lei; l’affetto tra i due giocherà un ruolo fondamentale nel finale.

Avevo lasciato Holden con un piede dentro e uno fuori dall’istituto Pencey. Facciamolo uscire!

Arrivato alla stazione, prese il treno per New York. A bordo si imbatté nella madre di un ricco e a lui antipatico studente di Pencey, Ernest Morrow. Ce lo dipinge così: «Era indiscutibilmente il più emerito bastardo che fosse mai stato a Pencey in tutta la sporca storia dell’istituto. Dopo che aveva fatto la doccia, se ne andava sempre per il corridoio sbattendo l’asciugamano bagnato fradicio sul sedere della gente. Ecco per la precisione che tipo era.»
Si presenta all’affascinante signora col nome di Rudolph Schmidt e, quando la donna gli domanda come mai stesse tornando a casa in anticipo, si lancia in una delle sue sparate fantasiose, le racconta di dover essere operato per un piccolo tumore al cervello.

Una volta arrivato alla stazione di New York (Penn Station), si precipitò a una cabina telefonica: aveva bisogno di parlare, di vedere qualcuno che conoscesse e col quale trascorrere del tempo insieme. Ma dopo aver vagliato qualche opzione, vista l’ora, a malincuore, desisté.

Salì su un tassì e raggiunse l’Edmont Hotel. Entrò nel night club annesso all'albergo intrattenendosi a ballare con tre donne più grandi di lui.

Rimasto poi solo, cercò un altro locale aperto che servisse alcolici ai minorenni. Si portò allora nel locale di Ernie, un pianista di tutto rispetto, noto in città. Una volta entrato, inciampò in una vecchia amica del fratello che gli chiese di sedere al suo stesso tavolo, ma sospettando che la ragazza volesse solo approfittare di lui per entrare nelle grazie del fratello, declinò l'invito, e decisamente alticcio fece ritorno in albergo. La sua camera era la 1222. Mentre saliva, venne approcciato dall’addetto all’ascensore, un certo Maurice, che gli propose quindici minuti di piacere con una prostituta per soli cinque dollari (per quindici dollari, invece, avrebbe potuto riservarsela per l’intera notte). Holden, un po' ubriaco e molto depresso, senza rifletterci troppo, accettò la proposta di una bottarella rapida per cinque dollari, cosa di cui poco dopo si pentì amaramente.

La prostituta, che di nome faceva Sunny, presto lo raggiunse in camera. Holden, che non era mai stato con una donna, si rese conto di aver commesso uno sbaglio. Allorché la ragazza cominciò a denudarsi, le disse che avrebbe voluto investire quel quarto d’ora per parlare, senza alcun approccio sessuale. Lei si inquietò e al momento di abbandonare la camera esigette il pagamento di dieci dollari, il doppio di quanto pattuito con il suo pappone. Holden non ci stette e la liquidò. Più tardi, però, farà ritorno insieme a Maurice per ottenere soldi extra in modo truffaldino. Il ragazzo, essendo nel giusto, fece del tutto per tenere il punto, ma invano. Sunny prese i soldi dal portafoglio di Holden, Maurice lo colpì ai genitali e, non appena il ragazzo reagì insultandolo, lo percosse in pieno stomaco, lasciandolo tramortito sul pavimento.

Depresso e bisognoso di contatto umano, Holden chiamò Sally Hayes, una vecchia fiamma. Nonostante la considerasse superficiale, si accordarono per un incontro al Biltmore Theater.

A Broadway, vide una famigliola di tre persone che passeggiava per la strada. Si avvicinò al probabile figlioletto e lo udì canticchiare (con una bella vocina) una canzone a lui nota: questo, in qualche modo, gli risollevò il morale. 

Entrò nel primo negozio che gli capitò sotto il naso e comprò un disco speciale, "Little Shirley Beans", per la sua sorellina di 10 anni, Phoebe.

Dopo la commedia, Holden e Sally decisero di andare a pattinare sul ghiaccio al Rockefeller Center, dove lui si lanciò  in una rabbiosa critica alla società, spaventando la ragazza. La invitò a scappare con lui nel New England, ma al suo rifiuto la conversazione degenerò in un litigio. Holden le rise a squarciagola in faccia e lei, per tutta risposta, lo piantò lì stizzita.

Cercò conforto nell'amico Carl Luce (maturo e intelligente) al Wicker Bar, ma alla fine non fece altro che annoiarlo con domande invadenti circa la sua vita sessuale. Luce si indispettì, consigliandogli di ricorrere a uno psichiatra per capire meglio se stesso.

Ubriaco, s'attaccò ancora al telefono e dopo qualche indugio chiamò nuovamente Sally, che scocciata gli disse di tornarsene a casa e ficcarsi a letto. Tuttavia, prima di riagganciare riuscì a strapparle il consenso di potersi rivedere prima di Natale per decorarle l'albero. Esausto e senza soldi, vagò per Central Park, osservando le anatre e rompendo accidentalmente il disco di Phoebe. La nostalgia lo spinse verso casa per rivederla.

Si intrufolò nell'appartamento e la svegliò. Phoebe, felice di vederlo, capì subito ch’era stato espulso ancora una volta e lo rimproverò per la sua mancanza di ambizione e il suo disprezzo per tutto. Poi gli chiese cosa avrebbe davvero voluto fare nella vita, se ci fosse qualcosa che contasse per lui. Ed Holden la spiazzò con una fantasia altruistica (basata su un fraintendimento della poesia di Robert Burns "Comin' Through the Rye"), in cui si immagina di salvare i bambini che corrono in un campo di segale afferrandoli prima che cadano da un dirupo vicino.

Holden, ormai al verde, chiese qualche spicciolo alla sorellina, che gli diede tutti i suoi risparmi destinati ai regali di Natale. Holden, commosso e provato da tutto ciò che stava passando, scoppiò in lacrime. La bambina si prodigò per consolarlo.

Al ritorno a casa dei genitori, Holden si dileguò e, nonostante l’ora tarda, fece visita a un suo ex  professore di inglese (giovane, brillante e bevitore di tutto rispetto), il signor Antolini, per il quale nutriva genuina ammirazione. L’uomo, che viveva con la ricca e  (anagraficamente) più matura moglie, palesò preoccupazione per lo stato mentale del ragazzo, gli offrì un posto letto e, con tatto, tentò di incoraggiarlo a impegnarsi nella vita.

Holden, che si era appisolato, si destò all’improvviso sorprendendo il suo insegnante nell’atto di elargirgli una semplice carezza sul capo. Ciò lo mandò in confusione e, fin troppo frettolosamente, interpretò il gesto come una avance sessuale; alimentando ulteriormente il suo senso di sfiducia nei confronti degli adulti.
Abbandonò la casa servendosi di una scusa. Trascorse così la notte in preda alla confusione alla stazione ferroviaria, rammaricandosi tuttavia di aver lasciato precipitosamente il signor Antolini. Vagò per la Fifth Avenue fino al mattino.

Sconvolto dagli eventi recenti e sentendosi sempre più solo e incompreso, Holden pianificò di abbandonare New York e di fuggire dalla società. Prima, però, avrebbe voluto incontrare per l’ultima volta la sorellina. Organizzò l’incontro al Museo di Storia Naturale, un luogo che entrambi amavano e che aveva rappresentato un punto di riferimento nella loro infanzia. Mentre la attendeva, Holden prese a perdersi nei ricordi, riflettendo sulla sua vita. Quando Phoebe apparve, portava con sé una valigia, rivelando di aver capito le intenzioni del fratello e di volerlo seguire. Questa dimostrazione di affetto e di desiderio di proteggerlo sorprese e commosse Holden, pur tuttavia mettendolo altresì a disagio. La prospettiva di dover lasciare Phoebe lo riempì di tristezza e paura.
Nonostante il tentativo, anche duro, di farla desistere, Phoebe era determinata a seguirlo. Tra i due fratelli scaturì un litigio, alimentato dalla paura e dalla confusione di Holden. Tuttavia, l'amore che li legava era più forte di ogni divergenza e, dopo un momento di tensione, si riconciliarono. Holden, per farla felice, scelse di portarla alla giostra dei cavalli, un'attrazione che la piccola adorava. Allo stesso tempo, le promise (ed era sincero) che non sarebbe più partito e che, invece, sarebbe tornato a casa quel giorno stesso. A Phoebe tornò il sorriso.

L'immagine finale del romanzo è quella di Holden che, sotto la pioggia, guarda con tenerezza Phoebe che gira sulla giostra. Questo momento rappresenta un punto di svolta nella storia: nonostante le difficoltà e le sofferenze affrontate, Holden sembra trovare un barlume di speranza e di serenità nel suo rapporto con la sorella. La presenza di Phoebe gli ricorda l'importanza dell'affetto familiare e lo aiuta a ritrovare un senso di appartenenza.
Le ultime pagine del romanzo suggeriscono che Holden verrà seguito da uno psicanalista, un indizio che lascia intendere che il ragazzo intraprenderà un percorso di cura per affrontare i suoi problemi emotivi. Questa conclusione lascia aperta la possibilità di un futuro migliore per Holden, che potrà finalmente trovare la pace interiore e superare le sue difficoltà.
L'ultimo capitolo, il ventiseiesimo, si apre così: 
«Ecco tutto quello che sono disposto a raccontarvi. Probabilmente potrei dirvi quello che feci quando andai a casa, e come mi sono ammalato e via discorrendo, e a che scuola dovrei andare in autunno quando sarò uscito da qui, ma non ne ho voglia. Sul serio. Ora come ora, queste cose non mi interessano molto.»
E si chiude, magistralmente, con questa frase (a proposito dell'intera sua storia che ci ha raccontato), decisamente alla Holden: «Mi dispiace di averla raccontata a tanta gente. Io suppergiù, so soltanto che sento un po' la mancanza di tutti quelli di cui ho parlato. Perfino del vecchio Stradlater e del vecchio Ackley, per esempio. Credo di sentire la mancanza perfino di quel maledetto Maurice. È buffo. Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti.»

Citazione tratta dal romanzo de Il Giovane Holden

Prossimi articoli correlati:

  • PARTE 2/3: Il Giovane Holden, analisi e approfondimenti.
  • PARTE 3/3: Scopriamo l'autore, aneddoti circa la vita di J.D. SALINGER.


Commenti

  1. Quando la mia professoressa mi assegnò la lettura di questo romanzo, ero un'adolescente alle prese con il biennio della scuola superiore, che era la mia sola tappa quando uscivo di casa.
    Vivevo nella bambagia, accudita dai miei, in un ambiente protetto da cui mi sentivo amata, per cui riconoscermi nei problemi di Holden, benchè fossi in crescita, era praticamente impossibile e quel libro lo lessi svogliatamente e lo trattai come un compito.
    Rileggerne la trama oggi, che tu riferisci in modo molto dettagliato, è stato come conoscere quella storia per la prima volta e accorgermi che l'essere stata preservata da quelle difficoltà adolescenziali, aveva generato una donna volitiva, febbrile e impaziente.
    Invecchierò così?!?
    Sono persuasa che si cresca a qualsiasi età, ma che dal primo vagito ad un sentore di maturità, quell'atto assomigli più ad un conflitto e procuri più sofferenza.
    Un giovane è, innanzitutto, un cercatore di identità e fino a quando non avrà indossato i suoi panni, continuerà a mettersi quelli degli altri.
    E forse solo così imparerà poi a mettersi nei panni degli altri se è sufficientemente sensibile.
    L'idea di una rubrica letteraria l'ho da subito trovata molto buona e (T)e lo confermo. Chissà quanti lettori si invoglieranno a leggere di Holden o a riprenderlo in mano a distanza di anni per conoscersi ancora una volta adolescenti. Sei davvero (S)uper, (A)micheTTo mio (C)huck!!!
    (C)omplimentissimi!!!❤️

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mi conosci bene, sai che mi occupo solo di argomenti e opere che, in qualche modo, mi hanno toccato o arricchito. Mi piacerebbe essere più produttivo, pubblicare più stabilmente, ma il tempo è furfante e sfuggevole, sicché godiamoci l'oggi! ;-) ;-)

      A differenza (T)ua, non mi era mai stata assegnata la lettura de Il Giovane Holden in età scolare. Alle superiori ho avuto insegnanti poco inclini all'esterofilia. Al biennio, per quel che concerneva la narrativa, ci dettero da leggere (oltre a I Promessi Sposi; testo obbligatorio per tutte le sezioni) Le terre del Sacramento di Jovine e Cronaca familiare di Vasco Pratolini. Entrambi dovrebbero ancora sostare in qualche pertugio, a casa dei miei. Tra parentesi: mi hai fatto venire voglia di andare a cercarli, se li trovo li fotografo e (T)e li mando.

      Per quanto riguarda Holden, mi ci sono avvicinato dopo aver visto, a metà degli anni '90, una trasmissione culturale della RAI, "Pickwick", condotta brillantemente da un giovane Alessandro Baricco. Una delle puntata verteva proprio sul romanzo di Salinger. Da lì, l'immediato desiderio di leggerlo.

      A differenza di molti, soprattutto americani, non mi ero immedesimato in Holden. Non mi era accaduto nulla di ciò che gli era capitato. Ma simpatizzavo per lui, nonostante le mie giornate da sedicenne fossero decisamente distanti e ordinarie rispetto alle sue. Non andavo in giro in taxi per locali, non frequentavo locali notturni, non bevevo come una spugna e non venivo malmenato da un pappone a causa di una incomprensione con la sua prostituta truffaldina.
      Tuttavia, l'animo di Holden mi è piaciuto fin da subito. Era un buono. Magari scapestrato e ancora immaturo, ma gentile e detentore di valori sani. Allo stesso modo mi è piaciuta la scrittura e lo stile di Salinger: genuina e adolescenziale.

      (T)i (A)bbraccio forte, (A)liceTTa (L)aLa!

      [Post Scriptum]
      Personalmente, metto su un gradino più alto i "Nove Racconti", rispetto a Il Giovane Holden.

      Elimina

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