Giallo italiano: MORTE DI UNA COMMESSA (bonus Capitolo 1)

 

Giallo italiano Morte di una commessa

1

Lidia se ne stava lì, in piedi, con le reni addossate allo stipite della porta e lo sguardo trasognante.
I raggi del primo mattino filtravano dalla tenda della finestra grande, e le inondavano il viso d'arcani arabeschi. Un andirivieni luminoso e tiepido che giocherellava con gli occhi, assottigliandoli, nel mentre che le iridi sfavillavano cesie.

Dentro il suo vestitino di chiffon aveva assunto una posa da funambola, con le gambe incrociate e gli stivaletti uno avanti all’altro. Una borsetta a tracolla color beige, in pendant con le calzature, le scendeva lungo un fianco fino all’attaccatura della coscia. Un braccio le cadeva mollemente lungo il corpo, mentre l'altro, il destro, figurava sollevato all’altezza della spalla, e nell'incavo della mano, una ciocca di capelli scivolava morbida. Lenta, incessante, per incanto di quelle dita così finemente affusolate e toniche, come quelle di un’arpista. Alla sommità le unghie: laccate d'un rosa confetto, in nuance con il rossetto e le corolle dei ranuncoli stampate sulla veste; un'impeccabile lunetta bianca le completava in punta.

Se l’avesse immortalata Amedeo Bocchi, ne sarebbe venuto fuori il ritratto della spensieratezza.
«Lidia! È un’ora che ti chiamo, ma che, ti sei imbambolata?», disse la madre mentre accomodava un vassoio zeppo d’ogni bendidìo sul tavolo del salotto. «Il latte si fredda!», le si rivolse con la premura che solo le mamme sanno avere, e poco importava che la bambina avrebbe compiuto ventisette anni giusto l’indomani.

Lidia tornò in sentimenti e un sorriso madreperlaceo le illuminò il volto. Scostò una sedia da sotto il tavolo tondo, appese la borsetta alla spalliera di velluto blu e le si sedette di fronte. «Quanta roba!», esclamò sgranando gli occhioni cerulei. «Fammi capire, me ne dovevo andare via di casa per meritarmi una prima colazione così?»

«Ehm…», si schiarì la voce, aggrottò la fronte e scosse il capo sbuffando. «Sembra quasi vero come lo dici. T'ho sempre riempito la tavola di dolci. Dolci che non t'azzardavi nemmeno a guardare, a causa della tua dannata fissazione per la dieta», ribatté la madre con un tono di blando rimprovero. L’atmosfera d’una nota di biasimo che durò giusto il tempo di ingollare il caffè, perché nel mentre la figlia s’era già divorata un saccottino alla marmellata di visciole e s’accingeva ad affettarsi una sostanziosa porzione di ciambellone al cacao.

La donna non credeva ai propri occhi. Era insolito vederla così affamata. Di primo acchito le balenò l’idea che potesse non mangiare abbastanza adesso che viveva da sola, ma la scacciò all’istante: era così bello vederla finalmente serena. Si sporse in avanti poggiando i gomiti sul tavolo. «Quanto sei bella», le disse emozionata coccolandosela con gli occhi, mentre coi pugni si sorreggeva il capo.

Lidia teneva la tazza stretta tra le mani e, di tanto in tanto, vi soffiava sopra disperdendo il vapore che si levava dal caffellatte.
Balzò in piedi, fece un giro veloce su se stessa e l’orlo del vestito ondeggiò d’un palmo sopra le ginocchia ossute. «Ti piace?», domandò sorridendo mentre si dondolava come un’adolescente intrecciando le mani dietro la schiena. «L’ho comprato ieri in quel nuovo negozio in centro, vicino al cinema Corso», disse entusiasta.

La madre la osservò per bene, ma parve indugiare più sul viso che sul resto. «A te sta tutto divinamente, hai il corpo d’una modella», le rispose. «Ma non capisco che bisogno avevi di usare un trucco tanto pesante. Non è da te. Sei così graziosa acqua e sapone.»

Lidia si limitò a sorridere e tornò seduta per consumare il resto della colazione.

«Sai che ti vedo più tranquilla da quando Marco è partito?», provò a sondare il terreno, ma presto s’accorse che i tempi non erano ancora maturi.

La ragazza si rabbuiò. «Per favore mamma, non ne parliamo. Ti prego. Almeno oggi non ci voglio pensare, d’accordo?»

«Per me va benissimo, voglio solo dire che quello non è l’uomo per te, prima te ne renderai conto e prima comincerai a vivere.»

Lidia era pensierosa. Tirò un lungo respiro, si alzò indolente e corse a depositarle un bacio sulla guancia. «Ora devo proprio andare.»

«Ti va se pranziamo assieme, oggi? Ti preparo la lasagna di carciofi che ti piace tanto, va bene? Sì?», l’intero volto della donna era in fermento, in attesa di quel sì che le avrebbe disegnato un sorriso di quelli larghi, e illuminata la giornata.

«Mamma», mise il broncio. «Non sai quanto mi dispiace», disse costernata. «Ma sono a pranzo fuori. Ho prenotato da Luigino il Paranziere da una settimana. Ma… Tanto domani facciamo la festicciola, no?», provò a strapparle un sorriso abbracciandola con così tanto entusiasmo che la sedia scricchiolò.

Il sorriso si fece desiderare, ma alla fine spuntò. «Mi raccomando, chiamami non appena rientrata. Lo sai che mi agito», la implorò comunque. «A proposito, con chi vai al ristorante?»

«Vado…», deglutì, riacciuffò la borsetta e se la mise in spalla. «Vado con Tamara. Non preoccuparti, non sono più una bambina», abbozzò un sorriso laconico, e uscì.
Per l’ultima volta.


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Giallo italiano Morte di una commessa

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