Me, e non te: un altro ossimoro



Sempre e mai.
Due parole. Due avverbi.
Stessa razza e,
purtuttavia,
agli antipodi.
Uno ti riempie la bocca,
l'altro te la svuota.
Accoppiati originano un ossimoro.
Insieme sono quel qualcosa
che non passa inosservato.
Come vicino e lontano.

Ogni giorno ti vedo.
Ogni giorno mi parli.
Parliamo.
Eppure,
non siamo mai stati
così vicini e indipendenti.
Ho detto indipendenti,
non lontani.
Altrimenti saremmo stati un ossimoro.
Saremmo stati qualcosa.
Come lo eravamo da quel sempre
che oggi mi svuota la bocca.

Se ne avessi avuto contezza quando
l'incendio somigliava a un barlume,
avrei ingurgitato l'amore di ciascuno
di quegli attimi infiniti.
Ancora un ossimoro. Ancora qualcosa.
Che c'era e non c'è.
Come vicino e lontano.
Come sempre e mai.
Come me, e non te.

Commenti

  1. Un'ammissione talmente disincantata, questa, che sembra più rassegnata che sofferta, perchè quando ti concedi nella mente l'opportunità che qualcosa possa ancora cambiare, sei scientemente disposto a soffrire.
    Il disincanto, invece, ammette l'ossimoro: che due bisticcino e stiano insieme. Parole, sapori e, ahimè, a volte persone. Come se la sorte a cui sono votati fosse quella di annullarsi, piuttosto che dividersi, di essere consapevolmente indifferenti.
    Dopo aver riso sotto il medesimo sole, c'è chi diventa come il giorno e la notte. Allora, meglio pensare di poter appartenere alla stessa giornata senza convivere, piuttosto che abitare in un paio di solitudini.
    Sono affascinata dall'abilità con cui queste righe, oltre che essere emotivamente dense, sono formalmente accattivanti. Sei (M)eravigliosamente capace, (A)micheTTo mio (A)dorato...

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    Risposte
    1. Eh, già, (A)micheTTa mia... (T)u sai quanto mi piaccia giocare con le parole. Certe figure della retorica si prestano bene a incidere ciò che dovrebbe (per pudore) tacersi all'interno di quattro mura. Ma siamo esseri emotivi, perfettibili e capaci di rassegnazione, a volte. Proprio come dicevi (T)u. Queste cose capitano sovente. Cominci col sorriso a consumare il pranzo allo stesso piatto, poi in due piatti separati l'uno di fronte all'altro e infine ti ritrovi a cenare uno in cucina l'altro in salotto, davanti la tv. Forse è proprio la vita che funziona così.
      I trucchi, gli accorgimenti, esistono. Ma chissà perché ci si ritrova sempre ad aprire gli occhi quando la storia sembra tutta un'altra...
      Forse chiediamo troppo? Siamo troppo esigenti perché sognare la felicità è troppo lusso?
      Mi piace questo (T)uo: "meglio pensare di poter appartenere alla stessa giornata senza convivere, piuttosto che abitare in un paio di solitudini".

      (T)i (A)bbraccio forte, (A)dorata mia (A)micheTTa...

      Elimina

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