Era solo un treno



Nel mio cielo s'aprì uno squarcio, un lampo improvviso e trasalii. «Mi accompagni alla stazione?», dalla sua voce mi resi conto che a tremare ero solo io. «Non farmi prendere il tassì, così ci salutiamo, no?», come se fossimo due vecchi amici, il cui fine ultimo era quello di spartirsi quattro baci sulle guance: caro, cara, è stato un piacere e tanti saluti.
    Sei scatoloni 30x30x30 erano tutto ciò che rimaneva di sette anni passati a dirsi ti amo. Quella ch'era stata la locuzione più avvolgente, che consideravo d'arrivo e crociera, avevo finita per odiarla. Così come m'odiavo io: perché trincerato nel mutismo ero solo un povero stronzo, che non vedeva ciò che, forse, era sotto gli occhi di tutti.
    La notte appena trascorsa la passai a sbraitare con la giugulare che lievitava assieme alle urla che tiravo e le frasi che imbastivo, sempre le stesse: perché non capivo. «Cos'è successo! Perché non parli con me! Abbiamo fatto l'amore fino all'altro ieri!», armai il pugno e lo scagliai a martello contro il comò. Il dolore delle membra non faceva parte del conto, ma un frammento di mogano si conficcò tra la palma e il polso. Sanguinai solo dopo tanti secondi, come se la mia linfa stentasse ad abbandonarmi: perché due abbandoni in una notte sola sarebbero stati davvero troppi.
    Era come inebetita. Sembrava che farneticasse tra sé e sé, pure gli occhi non parevano più gli stessi. Dentro c'era un'altra luce: una non luce che disconoscevo. Magari appartenevano già a qualcun altro e io neanche lo sapevo. Chissà quante altre cose ignoravo.
    «Non dico di non amarti più, ma i sentimenti si sono raffreddati», solo questo ero stato capace di scucirle: e mi bastò, la condanna l'avevo avuta. Perché in un rapporto si dice sempre: dobbiamo fare tutto insieme. Sì, tutto insieme, ma alla fine la scelta la fa sempre uno solo. Parla per uno e intende per due.
    Raffreddàti? In due giorni? Dopo che eravamo stati insieme a scegliere mattonelle e arredamento per lo studio nuovo. Tutto e solo quello che voleva lei, perché era lei quella che aveva gusto! Col senno del poi stabilii che avesse gusti bislacchi, soprattutto in tema di colori e cromature, ma ero così innamorato che li additavo come gli unici possibili.
    Raffreddàti: ma che significa? Tra i lobi del cervello era la domanda più gettonata, e lo fu per un abbondante lustro a venire. Penso tuttavia che qualcosa di organico mi sia accaduto davvero, perché è di quel periodo l'inizio del mio malsano rapporto con le emicranie: un rapporto del tipo preda-predatore, ove io ero preda e complice, perché benché passivo, non sapevo sottrarmi alla copula.
    Sentimenti che prendono freddo, parole affilate e persone che ghiacciano. Forse è per questo che ho paura della gente fredda: perché so che non avranno mai nulla di buono per me.
    Caricai le valigie, e caricai lei: sì, come fosse una figura senz'anima, perché un corpo senza sentimenti affini è solo un involucro. Durante il breve viaggio verso la stazione non disse nulla. Io parlavo da solo, credo fosse il mio modo inconscio per abituarmi all'idea.
    Arrivai di corsa e capii subito che parcheggiare non sarebbe stato uno scherzo. L'idea di girare per un quarto d'ora alla ricerca d'un buco non faceva parte delle opzioni e così m'infilai nello spazio sagomato riservato agli autobus, tanto sarei tornato in un pugno di minuti e con nello stomaco un pugno; alla peggio m'avrebbero rimosso la macchina, ma con lo scoramento che mi dilaniava l'anima, non avrei neanche protestato: la collera era tutta ben incanalata, ed era altrove.
    Andò a fare il biglietto ed io le trascinai le valigie nei pressi del primo binario, quello che va verso il nord.
    Poco dopo arrivò pure lei. Le sedute di marmo erano tutte al completo, una sequela di deretani, ginocchia nervose e gambe accavallate sfilavano fin sotto la finestra della Polfer. Ma a volerselo ben immaginare, un posticino senza troppe pretese si poteva ricavare: accanto a una appariscente signora di mezza età, sempre che avesse tratto a sé la borsa che occupava lo spazio d'una portaerei.
    Mi avvicinai spedito puntando il posto: non fu necessario dire nulla, il fumo che m'usciva dalle orecchie fu più che eloquente, tant'è che ancor prima d'arrivarle dirimpetto la portaerei aveva già preso il largo. Mi sedetti, e ringraziai placando i segnali di fumo.
    Lei mi seguì. Come se niente fosse s'accomodò sopra le mie gambe. Non so perché acconsentii. Anzi, sì, forse lo so e penso pure d'averlo già detto: perché ero solo un povero stronzo. Il silenzio era l'unico discorso in cui m'ero specializzato, l'unico che ero stato capace di mandare in scena.
    In lontananza quel fischio inconfondibile, narratore onnisciente del tutto è compiuto. Poi uno stridore di freni, ferraglia che s'arrabatta e le prime carrozze, dinanzi, mi sfilarono indolenti.
    Era il momento.
    Mi toccò la nuca in un modo che in qualsiasi altra occasione avrei definito una carezza. Alzai lo sguardo, la fissai ed ella mi sorrise. Il primo sorriso della mattinata, forse un sorriso ch'era pure un sospiro, di sollievo, perché di me s'era liberata. Mi trafisse con le sue iridi color giada: occhi incantevoli, feroci. «Non me lo dai un bacio?», con estremo coraggio ebbe a domandare.
    A quel tempo non seppi spiegarmelo nelle finezze, ma qualcosa pure in me s'era rotto. Con la differenza che io non sono volubile ed, quando accade, è spesso per sempre.
    Il bacio glielo diedi, pur tuttavia rifiutai le sue labbra, che non si meritavano più le mie. Le sfiorai una guancia e la sollevai di peso.
    Eravamo in piedi e, a denti stretti con la mascella tesa, fissavo il destino davanti i miei occhi.
    «Che guardi? È solo un treno...», mi disse con tono volgarmente rassicurante mentre s'affrettava al primo gradino.
    Sì, quello era solo un treno. E io, non ero già più niente.

Post più letti di sempre

Tutto inizia. Il meglio finisce. Perché mai diventi il peggio.

Nudo

Fellini: Il viaggio di G. Mastorna - Il film maledetto di Federico Fellini

Post più popolari

Sincronicità

Nudo