La notte del sesterzio (Capitolo 1)







Latina, 7 novembre 2014
ore 07.00

<<Aiuto!>>, urlò l’uomo robusto col k-way agitando le braccia a tutto tondo. <<Uomo in acqua! Aiuto!>>, gridava come un ossesso mentre tagliava la strada di corsa. L’ombrello gli sfuggì di mano e l’impeto del vento lo fece piroettare una, due, tre volte. Ripiombò sulla carreggiata accasciandosi nel mezzo di una pozzanghera, a un palmo da un automobilista che inchiodò con un vigoroso stridore di freni.
   L’uomo ch’era alla guida si precipitò fuori dall’abitacolo incurante della coda che, pigramente, s’andava accumulando dietro i fari del suo vecchio maggiolino color panna.
   Lo raggiunse che ancora si dimenava e chiedeva aiuto sporgendosi con la testa oltre la struttura di protezione del ponte. Sotto i loro piedi, gonfio,  scorreva il Canale delle Acque Medie. <<Che cosa è successo?>>, domandò l’automobilista con la voce smorzata dall’affanno.
   Lo sguardo dell’uomo batteva il corso d’acqua tallonando i sussulti del suo capo inquieto, da argine a argine, e oltre. <<Un tizio è scivolato nel canale! Credo stesse cercando di acciuffare un cane o così mi è sembrato… Ora sono spariti tutti e due!>>
   <<Laggiù!>>, fece l’automobilista indicando la vegetazione a ridosso dell’argine limaccioso. <<Da dove sono sbucati quei due?>>
   <<C’è poco da scegliere>>, disse l’uomo robusto col k-way. <<E se la danno a gambe!>>, esclamò mentre osservava due uomini a maniche corte arrancare tra i cespugli sottostanti il ponte, e dileguarsi.
   <<Dobbiamo chiamare qualcuno alla svelta…>>, l’automobilista si tastò d’istinto le tasche della giacca. Poi una smorfia del volto, e una mezza imprecazione gli sfuggì stretta tra le labbra. <<Ah!>>, illuminato si menò una mano alla fronte: <<I pompieri!>>, indicò l’incrocio in fondo alla strada.


ore 11:00

   La pioggia veniva giù a secchiate. Senza tregua.
La BMW del commissario svoltò a destra in via Pionieri della Bonifica. Si lasciò alle spalle gli alloggi popolari dei palazzoni gemelli, gli eucalipti frangivento che anticipavano la vegetazione a ridosso del Canale e imboccò il tratto piano del ponte, a passo d’uomo.
   All’esterno della carreggiata, oltre i marciapiedi correvano le strutture metalliche di protezione. Massicci quadranti grigliati arrangiati in complessi adiacenti, rettangolari e pittati d’un bianco slavato.
   Sulla sinistra, tra il marciapiede pressappoco a filo stradale e la struttura di protezione, stava una piazzola non asfaltata che il commissario usò per posteggiare, inforcandola a quarantacinque gradi.
   L’ispettore Andrea Mariani, braccio destro del commissario, era già lì ad attenderlo. Tra addetti ai lavori e semplici curiosi s’era ormai fatta una folla. Si scostò dal mucchio, sistemò la borsa a tracolla, e lo raggiunse col parapioggia spiegato. 
   Il commissario Massimo Del Monaco indossava un impermeabile color ghiaccio con allacciatura doppiopetto. La carnagione era chiara, le labbra carnose e la statura alta. Portava un paio di baffi che scendevano folti ai lati del mento. Perfettamente paralleli, curati. I capelli davano sul castano, pettinati all’indietro e arruffati sulla nuca. Collezionava cravatte, amava i cappelli e indossarne. Il panama per i mesi più caldi, il lino dei berretti patchwork irlandesi per il primo accenno d’autunno, e il borsalino da sfoggiare in inverno. Ma quel giorno non era il turno né della cravatta né del cappello.
   L’ispettore Mariani, con l’intento di coprire anche il commissario, tese il braccio e sollevò l’ombrello più che poté assumendo una sorta di posa innaturale che richiamava la commistione degli stili statua della libertà e danza sulle punte. 
   <<Non preoccuparti, Andrea>>, gli disse il commissario mentre raggiungeva lesto il retro della vettura. <<Ho il mio. Qui, nel portabagagli.>>
   Infilò una mano e tirò fuori dal baule un ombrello a scatto, automatico e con l’impugnatura in legno. Una mossa del pollice e il parapioggia, d’un azzurro fiordaliso, si compose all’istante.
   L’ispettore gli si era già fatto sotto. <<Dottore, come le accennavo al telefono, abbiamo ripescato un uomo. Cadavere purtroppo, e senza documenti indosso. Era stato visto stamane scendere di corsa il ponte da questa parte…>, e gli indicò con la mano la discesa ricoperta di brecciolino rosso, <<Per recuperare un cane, probabilmente il suo, che a quanto pare non riusciva più a risalire l’argine. Abbiamo rinvenuto questo nelle immediatezze del tratto sterrato...>>, ficcò una mano nella borsa, vi armeggiò ed estrasse una busta per reperti che porse al commissario.
   La busta era trasparente. Del Monaco pensò di poterne saggiare il contenuto senza la necessità di estrarlo, ma un dettaglio destò il suo interesse. Andava approfondito.
   Chiese all’ispettore un paio di guanti in lattice. Mariani tornò a frugare nella borsa e in trenta secondi il commissario era operativo.
   L’oggetto repertato era un guinzaglio per cani di buona fattura col manico rosso, corda avvolgibile e orfano del moschettone che andava assicurato al collare. Ed era proprio quest’ultimo il dettaglio che l’aveva colpito. Se le analisi sul reperto avessero confermato l’appartenenza del guinzaglio all’uomo deceduto, si sarebbe potuta ipotizzare una dinamica tutto sommato plausibile: l’uomo porta a passeggio il cane che tira, tira e a forza di tirare spezza la corda. A quel punto scappa lungo la discesa e finisce sull’argine reso fangoso dal maltempo. Rimane intrappolato o trascinato dalla corrente, il padrone gli corre in soccorso… E il resto è storia.
   Era solo un’ipotesi, certo. Ma il commissario era fatto così, quando un nuovo elemento s’affacciava sulla scena, la sua mente, allenata e fervida, lo metteva in relazione col resto e creava connessioni col tutto, ordendo le prime congetture, e perplessità. E la prima, di perplessità, c’era eccome. L’estremità della corda cui mancava il moschettone non appariva strappata come se avesse ceduto, pareva recisa di netto. Come se qualcuno l’avesse tagliata servendosi di una lama; presumibilmente una forbice.
   <<Vediamo se la scientifica ne tira fuori qualcosa>>, disse il commissario mentre restituiva la busta all’ispettore e intascava i guanti.
   La discesa era ripida, larga sì e no due metri e faceva da connettivo tra la piazzola attigua al manto stradale e la zona sottostante il ponte, dando dunque l’accesso all’argine sinistro del Canale, e alla manciata di case che s’affacciavano sulla sponda. 
   Il Canale delle Acque Medie, che ha origine dalle sorgenti del Ninfa, è uno dei collettori fondamentali costruiti in epoca fascista per la bonifica delle paludi pontine. Prende vita perpendicolarmente ai monti Lepini e corre per trentadue chilometri, piegando verso Latina attraversandola a est per poi finire a mare con un porto canale che fiancheggia il lago di Fogliano.
   La breccia scricchiolava sotto le suole rendendo incerto l’incedere. Raggiunsero l’argine a piccoli passi.
   Il commissario conosceva bene quel tratto del Canale, così come conosceva quel rione: il Gionchetto. Quello era il nome appuntato sulle mappe. Era il Giunco, invece, per chi c’era nato e cresciuto quando ancora gli alberi e gli sterrati si contavano più delle case e del bitume. E Giunco, era anche per il commissario. Ma erano lontani i tempi di quando tutti conoscevano tutti. Qualcuno se n’era andato e tanti erano arrivati. Per uno che se ne andava, in dieci facevano ingresso e ognuno con la propria razione di cemento, e mattoni. E così, insieme al volto, era cambiata pure l’aria che si respirava.
   Avevano raggiunto il perimetro delimitato dal nastro bianco e rosso con la scritta, Alt Polizia. All’interno era stata allestita in fretta e furia una zona al riparo dalle intemperie ove venne adagiato il cadavere estratto dalle acque. Il medico legale, la dottoressa Terzi, era ancora china sul corpo.
   Il commissario piegò lo sguardo. Il fango, dalle suole, era progredito alle tomaie, fin sotto il fiocco dei lacci. Sollevò il nastro, fece passare l’ispettore, e si proiettò nella zona off limits: <<Dottoressa…>>, fece a mo’ di saluto.
   Ella si voltò mentre sfilava i guanti. Sorrise con gli occhi al commissario e strinse la mano all’ispettore. Aveva una figura sottile, la carnagione lattea e grandi occhi celesti. Le labbra erano scarlatte e ben delineate e la chioma lunga, rossa e vaporosa. Le gote lievemente punteggiate da efelidi le conferivano un fascino particolare, non artefatto. Benché non avesse neanche quarant’anni, a causa del suo operare meticoloso, si era già conquistata la stima del commissario con il quale interagiva in perfetta sintonia sin dalle prime occhiate che s’erano scambiati in occasione dell’operazione Giacca e Cravatta della scorsa estate.
   <<Cosa può dirmi, dottoressa?>>, tagliò corto Del Monaco.
   <<Mi piace quando mi dà del lei, commissario>>, rispose indirizzandogli un sorrisetto complice. Poi si fece seria: <<Allora, si tratta di una probabile morte da annegamento che potrò comunque confermarle solo dopo l’esame autoptico che, salvo diverso incarico, eseguirò domani pomeriggio. Come sa la morte per annegamento è una delle più complesse da stabilire anche quando di primo acchito tutto parrebbe confortarla, e va quindi ricercata per esclusione. Inoltre il cadavere presenta una ferita lacero-contusa nella regione occipitale della testa che va approfondita.>>
   Si intromise l’ispettore Mariani che era il più anziano del terzetto: <<Almeno un testimone ha visto l’uomo dirigersi di corsa verso l’argine e pochi minuti più tardi annaspare nell’acqua. Come può vedere lei stessa qui intorno è pieno di pietre e anche di dimensioni ragguardevoli. Dunque, è possibile che la vittima si sia procurata la ferita nel momento della caduta?>>
   <<Sì, ispettore, è plausibile come dinamica. E le dico francamente che l’avevo pure ipotizzata>>, gli rispose confortandolo. <<Ma è ancora presto per trarre qualsiasi conclusione.>>
   L’ispettore annuì.
   <<Riguardo l’ora del decesso?>>, domandò Del Monaco.
   <<Guardi, commissario… Il cadavere ha soggiornato in acqua, e questo ha influito sul tempo di raffreddamento del corpo. Tuttavia, tenendo conto dell’assenza di fenomeni trasformativi, delle ipostasi scomparenti alla digitopressione e alla rigidità cadaverica in fase iniziale… Credo che la morte possa essere avvenuta tra le tre e le cinque ore prima delle mie misurazioni.>>
   L’ispettore mise mano al suo blocchetto sgualcito: <<Tre ore, dottoressa. Minuto più minuto meno.>>
   <<Perché ne è così certo?>>, domandò la dottoressa Terzi, sgranando gli occhi.
   <<Testimoni. Hanno dichiarato di aver visto l’uomo dimenarsi nell’acqua prima di essere trascinato dalla corrente. Gli annegamenti non sono il mio forte, ma non penso ci voglia poi molto per affogare...>>, concluse con sorriso amaro, scrollando le spalle.
   La dottoressa sospirò, e gli si rivolse ancora: <<A che ora è stata osservata la vittima cadere nel Canale?>>
   <<Grossomodo alle sette di stamane, o giù di lì>>, rispose l’ispettore.
   Il medico legale diede un’occhiata agli appunti presi facendo scorrere l’indice sulla pagina, scuotendo la testa in segno di assenso e intentando tra sé e sé un motivetto indecifrabile. All’improvviso il dito si arrestò, al motivetto mancò il fiato e prese a mordicchiarsi il labbro superiore. <<Bene>>, disse rivolgendosi stavolta al commissario. <<Il mio lavoro qui è finito. Le farò avere una prima relazione subito dopo l’esame autoptico.>>
   Un uomo azzimato sulla sessantina, magro e canuto, si avvicinò a passo svelto. <<Si ricordi di farla avere anche a me, dottoressa!>>, esclamò con tono seccato. <<Sappiamo tutti della sua a-mi-ci-zia col commissario...>>, disse mentre un braccio gli si rizzava sinuoso, ondeggiando come un cobra quando gonfia il cappuccio, <<Ma non dimentichi i ruoli. Sono io che l’ho fatta venire qui stamane e sono sempre io che coordino le operazioni!>>,  concluse il sostituto procuratore Fanti, arrivato poc’anzi insieme alla scientifica.
   <<Naturalmente>>, rispose la dottoressa con tono stizzito.
   Era palese quanto quell’uscita del magistrato avesse infastidito la dottoressa. Glielo si leggeva in volto, e nelle gesta. Le ciglia aggrottate, e le mani nervose.
   La cosa aveva in qualche modo infastidito anche il commissario benché non lo desse a vedere. Un po’ perché conosceva bene la bestia, noto provocatore, eccentrico e misogino. E un po’ perché dopo la riforma del codice di procedura penale del 1988, la polizia aveva perduto parte della sua autonomia, assumendo di fatto un ruolo sempre più subalterno in relazione all’ufficio del pubblico ministero. Dunque, per uno come Del Monaco, poco incline alla vita da gregario e amante delle indagini vecchio stile dove l’intuito la faceva da padrone, era meglio far buon viso a cattivo gioco e tenersi buono il PM. In cambio, ci avrebbe guadagnato un certo margine di libertà d’azione.
   Il commissario indossò allora uno dei suoi sorrisi più convincenti e lo esibì al magistrato. <<Eh, dottore… Neanche tre mesi e io e lei di nuovo qua, ar Giunco.>>
   <<Che le devo dire, commissario. Questo è un posto strano. Quattro passi dal centro, eppure, per certi versi, così lontano. È un po’ come lei, che d’altronde c’è nato. Un solitario enigmatico a caccia di enigmi. E poi, chi può dirlo, se magari trovo la chiave per decifrare questo quartiere, avrò preso due piccioni con una fava.>>
   <<Mah, io mi accontenterei di molto meno…>>, commentò l’altro, torcendo il collo e inarcando la schiena.
   <<Tipo?>>, chiese il magistrato con tono cortese, ma fermo.
   <<Che almeno stavolta si tratti solo di un morto. E non di un morto ammazzato.>>
   Silenzio. 
   <<Dottore, se non ha bisogno di me, vorrei raggiungere i testimoni per qualche domanda>>, fiatò ancora il commissario. 
   Il dottor Fanti fece spallucce. <<Faccia come crede>>, poi si cacciò le mani nelle tasche e lo fissò interrogativo. <<Ma non erano già stati ascoltati dai suoi colleghi?>>
   <<Come da copione. Ma ci voglio fare lo stesso quattro chiacchiere, e chi lo sa, se siamo fortunati ne ricaviamo pure qualcosa>>, rispose mentre faceva scivolare le dita di una mano lungo la schiena della dottoressa, dalle reni fin sopra le spalle, carezzandole con garbo. <<Andiamo, dottoressa… L’accompagno alla macchina.>>
   <<D’accordo, commissario. Qui non c’è più nulla che mi trattenga. Ho già autorizzato il trasferimento della salma all’obitorio non appena la scientifica avrà completato i rilievi. Faccio ritorno in Procura, ma lei mi tenga aggiornato!>>
   I tre si salutarono vicendevolmente con un cenno del capo.   

   
M.
(L'uomo dei difetti...)

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