Zagara (racconto breve, giovanile)
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Aveva smesso di piovere già da un pezzo. Sulle mani, intirizzite, il gelo apriva scaglie vive, e poi cremisi me le seccava. Alla schiena era andata pure peggio. Il mantello, nero, greve e fradicio mi lambiva la spina dorsale con la passione d'una carezza di ghiaccio, che graffiante mi rizzava dritto a ogni impronta dell'incerto mio incedere. Mi ritrovai lì, d'improvviso, a errare in una terra che disconoscevo. Le narici mi si muovevano goffamente, come la pelle d'un tamburo percossa da colpi aritmici. Come un pendolo squinternato che oscillava nella brezza, la mia testa guizzava maldestra, guidata da correnti invisibili e, purtuttavia, prepotenti alle frogie. Miele. No, non profumava neanche alla lontana di miele d'acacia. Quello lo conoscevo bene. Di agrumi. Folgorante, mi sovvenne. «Di Zagara» , una voce suadente e ritmata mi arrivò dritta nelle orecchie. Mi voltai, ruotai su me stesso. Non vidi nessuno. Si alzò il vento, si sol...