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Un punto, per ogni taglio

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  Amore. Punto e taglio In certi frangenti incerti , ero sopraffatto dal terrore che tu mi facessi soffrire, che mi scoccassi una di quelle tue parole appuntite, e avvelenate. Dicevi il vero. Ma quello che mi stordiva, inebetiva e faceva male, non era la caratura delle accuse , ma l'esternazione delle stesse. Mi domandavo, incredulo, come potesse una donna che si dichiarava innamorata, risultare così ferale contro l' oggetto del proprio amore.  Ci vollero alcuni anni, ma capii: era necessario. Quelle parole, quel veleno, le mie lacrime. Era tutto necessario. Senza, non avresti potuto uccidere il mio amore, e liberarmi.

Il Giovane Holden di J.D. SALINGER (PARTE 1/3) - (The Catcher in the Rye) - 1951

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Oggi, sotto la lente, piazzo un capolavoro della letteratura americana. Un romanzo di formazione che ha venduto più di sessantacinque milioni di copie e che, a distanza di quasi settantacinque anni, continua a vendere migliaia di esemplari in tutti i continenti: Il Giovane Holden . Il titolo originale dell’opera è The Catcher in the Rye : un titolo, commercialmente parlando , intraducibile in italiano. Tuttavia, le motivazioni alla base di questa scelta di adattamento sono, a mio avviso, interessanti, sicché ne parlerò con una certa accuratezza nel secondo articolo di questa serie in tre parti. Il giovane Holden ha avuto un impatto significativo su diverse generazioni di lettori, consolidandosi come un pilastro della letteratura adolescenziale americana. La sua fama si intreccia indissolubilmente con la vita del suo autore, J.D. Salinger, di cui parlerò nell’articolo a lui dedicato. Il libro ha acquisito una fama controversa a seguito della sua presunta influenza su alcuni atti di fero

Buona la prima (longevità della parola data)

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  Ho passato anni a far combaciare il nero col grigio, il bianco col beige e a impilare prismi in gole cerchiate. Poi, ho capito che l'unica certezza nel più ingovernabile dei sentimenti è proprio l'incertezza nella stabilità dell'amalgama. Due teste. Due strumenti. Nessun direttore. Io non ti cerco, non ti so cercare. Nondimeno vorrei, con forza gagliarda, che tu esistessi. Ché io possa esperimentare, e alfine credere, che per i disegni c'è la matita, e per i patti l'inchiostro.

La forma dell'amore

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La forma dell'amore (racconto breve) Quand’ero un giovinetto, a scuola, l’insegnante di lettere era aduso ad assegnare dei compiti sotto forma di giochi. Una volta ci disse: «Pensate di avere davanti una grossa cesta, diciamo pure un grosso paniere non trasparente, con all’interno una miriade di oggetti. Adesso immaginate che l’ amore sia un oggetto. Infilando la mano dentro, come lo riconoscereste?» La risposta andava argomentata per iscritto. Così, dopo il brusio iniziale e il parapiglia dovuto alla novità, ognuno si mise a formalizzare le proprie idee e ragioni. Trascorsa una mezz’ora abbondante, ci invitò ad alzarci in piedi, uno alla volta, e leggere ad alta voce quanto avevamo elaborato. Venne fuori di tutto.  C’era chi non aveva scritto nemmeno uno straccio di riga appellandosi al fatto che l’amore, essendo astratto, non si sarebbe potuto in alcun modo infilare in una cesta. C’era chi asseriva che la faccenda fosse fin troppo banale poiché lo sapevano tutti che l’amore

Il mio eucalyptus

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  Il mio eucalyptus, e il mio primo batticuore Fino ai miei undici anni avevo conosciuto un certo numero di stati d’animo e sentimenti: la gioia, la tristezza, la paura, il dolore per la perdita del nonno, la delusione e pure la rabbia. Ma ce n’era uno che non solo non conoscevo, ma ignoravo del tutto: il sentimento dell’amore, che rapportato all’età descriverei come il primo batticuore . Prima di quel momento, le ragazzine mi stavano persino antipatiche. Le vedevo come delle rompiscatole, fastidiose e guastafeste: per lo più un intralcio. Quando giocavo con gli amichetti, le tenevamo a debita distanza. Le femmine dovevano stare da una parte e i maschi dall’altra. Allorché qualche parente in visita mi domandava: «Massimino, ce l’hai fidanzatina?» Io rispondevo stizzito, come se m’avessero insultato. «Ma che sei matto?!» A parte il fatto che non vedevo la convenienza di averne una, ma poi mi pareva come un voler autoinfliggersi una punizione. Tutto questo fino al mio approd

La "viandantitudine"

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  La viandantitudine Sono un viandante, è così che mi piace definirmi.      Difatti, il componimento che meglio mi sintetizza e traduce è NUDO .      Un viandante, io, che vivo nella città in cui sono nato e frequento sempre gli stessi posti.      Allora, perché viandante ? Essere un viandante è una condizione dell'anima, un moto dello spirito. Mi permetto un neologismo estemporaneo: viandantitudine . Definirei la viandantitudine come l'attitudine della mente a scalciare  e creare mondi.  È, altresì, il ritrovarsi a condurre un'esistenza in un luogo pur coltivando il sogno , a qualsiasi età , di aver vita da vivere localizzata nell'altrove; la tendenza, pur disponendo di un tetto, a non fossilizzare oltre le proprie radici. La mente del viandante è elastica perché ne ha viste tante, e di tutti i colori. Sa che gli umani sono fallaci, volubili, e ciò che giurano in prosperità assurge a mera ipotesi in tempi di magra ; ragion per cui, lo stupore non fa più parte del

Era nera, nerissima. Ma poi hanno bussato alla porta

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  ERA NERA, NERISSIMA. MA POI HANNO BUSSATO ALLA PORTA Erano le 11:30 di un venerdì e, come ogni mattina, mi feci i cento metri di corridoio che separavano la mia aula da quella di mio cugino, il PiKe, al dipartimento di matematica.  Sapevo che a quell’ora l’avrei pizzicato sulla panchina di fronte all’aula 11, o al bar attiguo, assieme a qualche amico. Quando arrivavo, puntualmente, li trovavo a parlottare di calcio, delle purghe di Totti, di qualche gol rubato o in fuorigioco. A me interessava solo la Formula 1, di calcio non ci ho mai capito un cazzo e allora, forse per solidarietà, alzavano l’asticella e i discorsi viravano all’altezza della fica , che di solito metteva tutti d’accordo. A proposito, in quel gruppetto, di cui anch’io m’ero ritrovato a far parte, gravitavano cinque o sei ragazze, di cui due o tre assai carine. Me n’ero accorto io, ma se n’era accorto pure il PiKe, il quale commentava con rigore ogni culo che gli sfilava sotto il naso. Ma commentare era una cosa e

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