Il gelo divise ciò che il cuore mai spazzò




Così come dalla corrente che fu d’Agulhas 
guizzò fiero il solitone,
così il vento che dell’altro ne fu il trespolo,
subitaneo, soffiò stanotte.

Perché se è vero che l’uno rifugge l’altro per l’onor d’un rigore
e d’una carta che canta,
allora sulla frequenza io già accordato,
attendo e mi domando cosa mai intonerà
allorquando quel cremisi che pulsando impazza,
annegherà in lucciconi,
terre, lembi, e quel fido rigore.
E al cuor non basta l’ammucchiar figure,
che a un tempo,
narravano la gioia del leccarsi al tramonto. 
Ferite vere, e ricercati giacché scarlatti voluttuosi rivoli.

E benché a tono di chiusura quanto la ragion sussurra,
ciò che col gelo il pavido divise,
l’arroventato cuore,
risorgendo, mai spazzò.
E di questo, oggi ne son certo,
quella carta, salmodiando, narrò.

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