L'uomo alto vestito di nero (introduzione)

L'uomo alto vestito di nero

Milano, Stazione Centrale.
   Nei pressi del binario 18, una donna sulla quarantina era intenta a rovistare nella borsa che teneva sottobraccio. Nervosamente, pensò il capotreno, che rovesciata la testa la squadrava di sottecchi
   Un moccioso riccioluto sbucò come una saetta da sotto il cartellone cui ella aderiva le reni. Le si aggrappò alla gonna dimenando le mani sudice, e mentre frignava, uno dei bottoni dorati schizzò oltre la banchina. Il tessuto, a scacchi rossi e neri, guizzava adesso come un sipario scriteriato attorno a una coscia e l'autoreggente che le celava la carne rivelò lo stesso colore della pelle che la indossava.
   Un anziano che procedeva a passo lento era ora immobile a poche mosse dalla donna. I polsini della camicia s’alternavano sulla fronte madida con la frequenza di due tergicristalli in pieno acquazzone. E l’affanno, che della fantasia n'era il testimone, narrava ben oltre quanto veduto da quegli occhi zuppi e malandati.
   Un ragazzo in jeans e giubbotto di pelle trascinava un trolley verde avanti e indietro tra il binario 18 e il negozio di souvenir alle sue spalle. Aprì il mezzo litro d’acqua che portava a passeggio nella mano libera e ne bevve un sorso. Come morso da una tarantola, scosse la testa, incrociò lo sguardo della signora col bambino aggrappato alla gonna, sputò a terra, imprecò: <<Cazzo, che schifo!  Pare piscio...>>, e strofinandosi la bocca alla bandana che gli velava il collo, concluse con registro aulico il suo pensiero: <<Fanculo!>>
   La donna visibilmente contrariata smise di armeggiare nella borsa. Sollevò tra le braccia il piccolo e s’allontanò facendo dono al ragazzo di un’ultima occhiata, non meno schifata di quelle che l’avevano preceduta. 
   Una modesta delegazione di suore ospedaliere assistette anch’essa alla scena.
   La sorella più giovane si sciolse dalla compagine e improvvisò una conversazione inesistente al telefonino. La più anziana fissò il ragazzo con sguardo compassionevole e unendo le mani in preghiera gli indirizzò una frase che all’insaputa di entrambi, presto, avrebbe avuto un senso: questo è il frutto della pianta che cresce senza Dio.
   Un uomo robusto, azzimato e vestito di nero, di poco sotto i due metri, usciva dalla cappella ubicata oltre il binario 21. I Calvin Klein inforcati sulla testa ne domavano i capelli, lunghi e biondi. Le iridi di ghiaccio, ignote ai tremori, puntavano alto e setacciavano metri e metri oltre la sua testa. Il respiro s'era fatto pesante e le labbra sottili parevano mimare qualcosa che stentava a smettere, come una litania. Una mano prese a fluttuare nell'aria come quella di un karateca, poi un pugno al petto e lo sguardo a scendere. Ora sulle volte di ferro e vetro che imperavano maestose sopra binari, treni e teste, ora sulle facce stanche dei tre filippini accovacciati al suolo dietro l’edicola, e gli zaini pesanti ancora a tracolla.
   Adesso il suo sguardo è piazzato sul ragazzo col trolley verde. Inesorabile, come la canna del cacciatore che nel mucchio ha scelto la preda.
   Si segnò il petto e con una mossa da prestigiatore gli occhiali calarono sul viso. Una Marlboro già fumante spuntava tra le labbra. Tirò una lunga boccata e con la bionda appesa a un angolo della bocca s’avviò lento verso l’uscita della stazione sfilando alle spalle del giovane col trolley.
   Il ragazzo non lo notò. Inquieto e stanco, osservava nervosamente l’orologio. E imprecò.
   Il suo cellulare incominciò a riprodurre il rumore di uno sciacquone e vibrava allo stesso tempo. Frettoloso accettò la chiamata, ma non era la telefonata che s’aspettava. Era solo qualcuno che gli ricordava del torneo al quale avrebbe dovuto partecipare la prossima domenica, e della quota di partecipazione che ancora non aveva saldato.
   Il turpiloquio del ragazzo terminò con la rassicurazione all’interlocutore. Avrebbe pagato quanto dovuto entro la giornata di domenica. Prima dell’inizio dei giochi.
   Pigiò con tutta la forza sprigionata dal nervosismo del momento sul tasto con la cornetta rossa, e ancora, imprecò.
   La stessa suora di prima, stavolta più ferma, tornò a fiatare: <<Oggi pregherò per te, ragazzo. Perché conoscendo Dio tu possa diventare uomo.>>
   Lo sguardo interrogativo del giovane palesava smarrimento. Apparve chiaro quanto egli non avesse afferrato né il senso della frase né il motivo scatenante che avesse portato la religiosa ad interessarsi a lui.
   Si dimostrò capace solo di scuotere la testa, la bocca si configurò in un ghigno e la rassicurò: <<Va bene, suora. Grazie.>>
   Ebbene, si. Quel ragazzo senza Dio sapeva anche ringraziare. Ma gli sarebbe bastato?   
   L’uomo alto vestito di nero sapeva che quel ragazzo, presto, sarebbe diventato uomo, avrebbe conosciuto Dio, e sarebbe stato domenica.
   Fece scattare la mano e la sigaretta planò a terra come in una scena al ralenti, poi, con tutto il fiato che aveva in corpo gridò nell’aria un nome.
   Il ragazzo si voltò di scatto e il trolley finì a terra con un rumore sordo. Gli occhi arrancavano tra la gente, irrequieti: i bambini in fila indiana dietro la maestra, la rossa con gli stivaletti e la minigonna, il prete coi libri in mano, e trenta anonimi tutti diversi, tutti uguali. 
   Chinatosi riacciuffò il trolley, e col respiro ansante, riprese il suo girovagare esagitato.
   
   Un'ombra caliginosa penetrava lesta la Galleria delle Carrozze: l’uomo alto vestito di nero, era già fuori.


M.
(L'uomo dei difetti...)

Commenti

  1. Amico mio, il racconto è bellissimo e tu scrivi molto bene.
    Ciao.

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    1. Sei sempre gentile, caro Gus: (G)razie.
      Un abbraccio sincero.

      Sereno fine settimana. Un sorriso, di buon auspicio.

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  2. Max carissimo! Sono ancora curiosa di scoprire le avventure del commissario e tu ci proponi una simile chicca!! Ma grazie!!
    A presto rileggerti! ��

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    1. Ma che bella (S)orpresa!
      Più volte mi sono chiesto se avessi potuto "bussare", in quell'altro luogo, per domandarti un semplice: "Come ti senti?"

      Sono contento questa introduzione ti sia piaciuta. Se ti raccontassi la storia dietro questa trama... Ti dico solo che il personaggio dell'uomo alto vestito di nero l'ho "partorito" nel 2013. Qui ho voluto solo presentarlo... ;-) ;-)

      Ti ringrazio di cuore per esserti ricordata dell'UdD!
      (S)plendido inizio d'Ottobre!

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  3. Ciao, sono Alexandra, piacere, nuova lettrice del blog.
    Mi associo agli altri comentatori, veramente un bel racconto.
    La sabbia nella clessidra è il mio blog, magari (spero) ti va di ricambiare!

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    1. Ciao, Alexandra: mi fa piacere questo mio stralcio narrativo ti sia in qualche modo piaciuto. Grazie.
      Certo, passerò da te.

      Il mio augurio per una sera serena.

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  4. Pezzo che ogni volta che rileggo riscopro nuovo.
    E questa volta mi è parso di riconoscervi il leggendario pozzo di San Patrizio, in fondo al quale chi assisteva alle pene dell'inferno, era perdonato dei suoi peccati.
    In questo spaccato, tutto è fatalmente in bilico: bene e male, giusti e peccatori, la veste della suora, che presumo essere candida, macchiata di pregiudizio e l'abito noir dell'azzimato che per contro sembra essere in quella stazione per profetizzare un'assoluzione.
    Ed è proprio nel presagio di un ribaltamento dei ruoli, dove tutto è possibile e ciò che è certo è smentito, che c'è l'esca per desiderare di conoscere il seguito.
    In questa giostra di personaggi, riconosco pure un padre e un figlio, legati più del solito, in un giorno (Q)ualunque, da un'(I)ntima lettura.
    Ma questa è tutta un'altra storia...
    Complimenti (V)ivissimi e a (T)e il mio (A)bbraccio.

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    1. Anche a me accade spesso. Ad ogni rilettura di un testo scorgo nuovi aspetti, sfaccettature che m'erano sfuggite.
      L'abito noir dell'azzimato che sembra essere lì per profetizzare un'assoluzione, potrebbe, alla stessa maniera, profetizzare una condanna. Questo me lo fa pensare la scelta delle parole, ad esempio: "Adesso il suo sguardo è piazzato sul ragazzo col trolley verde. Inesorabile, come la canna del cacciatore che nel mucchio ha scelto la preda. "
      Ma tutto potrebbe essere, in fin dei conti, sono qui per mescolare le carte e farti venire l'acquolina sulla (L)ingueTTa...
      In un certo senso, c'entra pure la (T)ua intuizione su quanto possa provare un padre per il proprio figlio...

      (T)i (A)bbraccio forte, (A)micheTTa cara...
      (G)razie, di cuore.

      Elimina

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