La conta dell'eternità




Le cercai una mano. «Facciamo l'amore?», gliela buttali lì, così.
    Pervenni alle dita, che come gliele sfiorai, s'arricciarono: come una chiocciola che d'improvviso rincasa.
    Con la palma le circondai il pugno: gelido.
    Curioso però, pensai. Proprio lei ch'era sempre stata la mia stufetta, così l'avevo ribattezzata sotto le coperte.
    Quando fa freddo e ti infili a letto, i primi minuti sono quelli clou: terra di nessuno. Non fai neanche a tempo a formulare un pensiero che abbia un capo e una coda. Una serie di brividi si propagano lungo la schiena, il solo bisogno che senti è quello di scaldarti: freghi le mani, agiti i piedi: scalci.
    Io m'attaccavo a lei, ch'era sempre nuda. Intrecciavo le gambe alle sue, ch'erano fuscelli lunghi e levigati. Me la stringevo. L'attiravo al petto come se fosse d'un materiale malleabile. Come se potessi, a poco a poco, farla rientrare per intero nel mio abbraccio, avido. Ed era l'illusione più conturbante e maschia ch'ebbi a provare.
    Durante le notti più fredde facevo scivolare le mani lungo le sue reni, e più a valle, lasciando che profondassero fino alle nocche, nella fornace. Quella sua piega era un po' come la mia favola della buonanotte: aveva la facoltà di infradiciarmi all'alba, pacificarmi al meriggio e cullarmi al crepuscolo.
    «Fac-cia-mo l'a-mo-re?», le ripetei calcando sulle sillabe, visto che il primo tentativo era andato a vuoto e m'ero meritato solo un mezzo sorriso, così timido che nemmeno le fossette sulle guance s'erano degnate a spuntare. «È tanto che non lo facciamo. Non ti piaccio più?», cominciavano le paranoie: le mie.
    Mi si fece sotto, mi circondò il collo con le braccia e mi baciò le tempie: prima una e poi l'altra, con una certa flemma, come se ci stesse riflettendo, o peggio: si stesse zittendo. Gettò lo sguardo oltre la mia testa, all'unico oggetto che campeggiava sulla parete di fronte: l'orologio a pendolo in ciliegio d'inizio novecento, regalo di mio papà.
    «Eh, già...», mi sorrise in modo che giudicai falotico, facendosi beffe di me. «Non lo facciamo da stamane, sono quasi otto ore, ma ti rendi conto? Forse hai proprio ragione tu, sai? Forse non mi piaci più tanto. In otto ore può succedere di tutto, ma in anche meno. Pensa che l'Enola Gay, alle 02:44, era ancora lì che rullava a terra sull'isola di Tinian, e neanche sei ore più tardi, Hiroshima non esisteva già più. Otto ore sono un'eternità», confermò lei, tutta d'un fiato.
    Che spudorata!, pensai. Me lo dice così, in faccia, senza nemmeno un po' di vergogna!
    Non dissi nulla. Mi sistemai di fianco. Mi aggiustai il cuscino sotto la testa, indossai il broncio e le diedi le spalle.
    Otto ore, pensai ancora. A me era sembrato un mese, forse due: non m'era mai successo prima. Aveva ragione: otto ore erano un'eternità.
    «A che pensi?», mi sussurrò chinandosi sul mio profilo, appiattendosi contro la mia schiena.
    I suoi seni erano frutti maturi, caldi sulla mia pelle. I suoi riccioli, corvini, mi frusciavano sul collo facendomi il solletico, e profumandomi di vaniglia.
    Sospirai. Sospirai ancora. «Che ho perduto la cognizione del tempo, questo penso», dissi apatico. «Sarà lo stress?», mormorai, torcendo il collo all'indietro.
    La sentii sgambettare sul materasso e mi ritrovai le sue mutandine sul cuscino, a un palmo dal mio naso.
    Le setacciai con lo sguardo. Le afferrai con le mani e mi ci riparai gli occhi dietro, come se volessi nascondermi dal mondo, e inspirai a fondo. Non saprei dire come mi sentissi, ma era come se non respirassi da un'eternità.
    Sospirò. Sospirò ancora. «Hai perduto la testa, questo penso», mi salì a cavalcioni sulle gambe e mise mano alla cintura, slacciandomela in due mosse. «Sarà l'amore?», mormorò col tono di una che aveva appena vinto un biglietto per l'ottovolante.
    
    Anche l'eternità, prima o poi, finisce, fu quello che pensai. Ma non glielo dissi. Avevamo tutta la prossima eternità, per parlare.

Commenti

  1. Un fatto è sicuro, quanto la maestria che contraddistingue questo (T)uo breve, (A)micheTTo mio: che all'eternità un orologio è superfluo, proprio come al nostro polso è necessario, abituati come siamo a misurare.
    Il paradosso è che mentre chi è mortale ambisce a dilatare l'orgasmo di certi momenti, l'essere senza confini consente all'eternità di abitare nello spazio angusto di un amplesso, di piegare il foglio ad origami, come se fosse mossa dall'urgenza di contrarsi.
    Niente mi sembra più vago dell'eternità quando stringo la mia carne e niente più certo che proprio quella vaghezza moltiplichi le occasioni, al prezzo di una sola regola: che tutto quel che succede ad uno, accada all'altro.
    (T)i do un (A)bbraccio senza fine...

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    1. Se smettessimo di misurare, se ne fossimo davvero capaci, non avremmo più bisogno di riferimenti: perché avremmo dinanzi tutto e solo ciò che per noi conta. E' il (D)esiderio che crea la (M)ancanza, e più crescono i (S)entimenti e più s'intensifica il (D)esiderio.

      Stanotte mi sono sentito un po' Figaro:
      "Sospirò. Sospirò ancora. <>, mi salì a cavalcioni sulle gambe e mise mano alla cintura, slacciandomela in due mosse. <>, mormorò col tono di una che aveva appena vinto un biglietto per l'ottovolante."

      Te ne sei accorta? ;-) ;-)

      Ti (A)bbraccio forte e chiaro, (A)micheTTa mia...

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    2. Ne ero parte.
      E lungi dal pensare la cantilena dei miei giorni un giro di giostra e un gettone in mano, il tempo di una canzone che avverte che è già tempo di scendere, scelgo chi sceglie di essere bambino anche quando cresce e di aver diritto ad un altro giro e poi un altro e un altro ancora...

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    3. Quel diritto di essere (B)ambina e godere di quei giri tutte le volte che lo riterrai un (B)isogno, non te lo leva nessuno...

      A me piace pensare che quel biglietto per l'(O)ttovolante sia il lasciapassare per l'(E)ternità, e che proprio ad ogni eternità (nel senso del racconto) esso si rinnovi...

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  2. Massimiliano, in questo tipo di racconti sei insuperabile.

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    1. Grazie tremila Gus: quando sono ispirato riesco ad essere ciò che provo, lasciando che le tracce emergano da sole e che i miei personaggi vivano con me, e meglio di me.

      Ti auguro una buona domenica.

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