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Visualizzazione dei post da 2020

"Hai paura?": quella, era la domanda

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A che serve girarci intorno: stavolta l'ho sentita.      Ed era la prima volta, benché fosse nell'aria: era già qualche mese che mi avvertivo  strano . Mia mamma mi diceva: non ti vedo bene in viso. Ma io non ci davo troppo peso, mi convinsi che fosse una condizione psico-fisica dovuta all'eccessivo stress, che non m'è mai mancato.     Quella notte non  erano più solo vibrazioni ovattate che orchestravano nella penombra. Quelle che, per inciso, s'annidano nel sospetto e ruotano in circolo mentre tu smarrito stai nel mezzo, ma che poi alla fine non senti mai: il petto s'acquieta e finisce là.      Ma non era nemmeno una campana, come s'erano affrettati ad avvisarmi: era piuttosto una voce menata dal vento e che soffiava di lontano. Un po' come quando sei lì che pesti la banchina e alle orecchie ti arriva il fischio del treno che ancora non vedi. C'è gente vicino, s'arrabatta, maneggia maniglie, concitata alza la voce, si bacia. Tuttavia, sei consc

Schiava

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Schiava. La chiave che implorasti per sentirti libera. Schiava! Gridavi, allorquando ignuda ti votavi al Padrone che sceglieva le tue vesti: perché non patissi l'inverno. Purtuttavia, tu invereconda, sfoggiasti nella brama del disfartene il solo tuo guizzo: perché egli ne respirasse gli effluvi e, assetato, spillasse i pregni . Schiava. Perché tu lo trascinassi nella foschia più lasciva, ove storia non fu mai scritta. Schiava. Perché il Castello difettava d'una Padrona, e di Vita dritta nelle vene, del Padrone.

Cercami dove hai paura di trovarmi

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Cercami nei desideri più languidi e spregiudicati, in quelli che non confesseresti neanche a me. Cercami dove non vorresti trovarmi, ed io là sarò: perché il candore del tuo sorriso è il mio rimando, ma sono pure un cielo plumbeo, e saette. Spaventati, ma solo dopo che me ne sarò andato: perché snervante è l'odore che ti rende ebbra allorquando tra i fuscelli m'elevo. Non cercarmi in un'assoluzione, perché non sono io il peccato: sono l'altra metà del turbamento che ti mantiene in vita. Nutrimi, fino a quando tu sarai sorgente ed io bisognoso. Affànnati nella mia gola, finché non riconoscerai in me le urla del dono . Non salvarmi, perché sono morto già tante volte: oggi ti voglio nuda che sgattaioli in bagno, con la schiena imperlata di me, il collo madido e i capelli raccolti in una crocca. Dopo, solo l'album dei ricordi, e i titoli di coda.

La Differenza nell'Indifferenza

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L'unica Indifferenza che fa la Differenza è quella che subiamo da chi credevamo fosse Differente . ENGLISH VERSION

L'incontro

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L'incontro  Questo non è solo un racconto: è soprattutto un omaggio. A chi m'ha messo al mondo, dato il cognome e che non ha fatto neanche in tempo a leggerlo. Tutto quanto era tuo, l'hai dato a me. Stavolta è per te. Aveva appena diciannove anni quando accompagnata dalla madre entrò nella bottega de L'ultimo ebanista.    Era un vero fuoriclasse, Gigi Del Monaco. Creativo quanto un mago, estroverso, ed eccentrico, come tutti gli artisti. Era uno di quelli che andava a simpatia. Empatia e simpatia erano quelle le chiavi per approcciare il suo mondo. Se non scattava nulla a livello empatico, non c'era verso di affidargli un lavoro. Approcciava una scusa, neanche ben imbastita, e tanti saluti.  Tempo cinque minuti, ed eri già alla porta.    Ma quella ragazza gli piaceva. Gli piacevano quegli occhioni vispi che non sapevano darsi pace, e si posavano ovunque. Ora su un'angoliera francese del settecento, ora su un pomposo settimino in stile Libe

Getto lo sguardo nel silenzio

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Getto lo sguardo nel silenzio. Quello che cerco è un colore: non mi importa più quale. Vorrei solo fosse lo stesso. Ma a me non capita mai. E allora faccio finta e scelgo io: il buio. Perché nel colore delle tenebre è come se avessimo gli stessi occhi. Gli stessi desideri. Le stesse malinconie. Se io dormo, tu dormi. Se io canto, tu canti. Se io ti siedo accanto, tu mi stai di fianco.  So che dove sono, tu sei. Ma ecco che le pupille fanno breccia nell'oscurità, che fetente si dirada. Il nero, non è più quel nero. La pece, non è più quella pece. Io mi ritrovo aggrappato al mio giaciglio, addossato e in catene da un fragore  che mi rende sordo e, sullo sfondo, come orchestrata da un mimo, s'agita un'ombra, che racconta una fabula che mi fende le carni. Ma io non sanguino, e sono qua. Come ieri, il giorno prima e i millesimi che furono. Ma tu, adesso, sei là. Strabiliata, felice. Ad agitare un'ombra che narra una storia, che non è la mia. Getto lo sguardo nel silenzio, st

Lettera dal futuro

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Avrei voluto saper suonare, perché i miei silenzi si spiegassero in melodia. Avrei voluto dirti quello che fa male, perché il punto e l'accapo non è affatto detto che  vivano sotto lo stesso tetto. Avrei voluto raccontarti del perché io non cantassi,  benché avessi polmoni che tu riempivi d'ossigeno. Avrei voluto non sapere quello che so, perché la consapevolezza è prima fendente, poi dolore. Avrei voluto non avere paura, perché a morire sì,  si fa sempre in tempo, ma non due volte. Avrei voluto la premonizione d'un abbraccio, piuttosto che la certezza d'una punizione. Avrei voluto che quel giorno non fosse mai arrivato, perché il paradiso non m'andava stretto. Avrei voluto dissolvermi, perché sparire fa meno male d'un abbandono. Avrei voluto smettere di pregare, perché le mie non vengono mai esaudite, ma so fare solo quello. Avrei voluto quello che non posso più avere: un'altra vita, e poi tornare a questa, che solo oggi ho imparato a vivere.

L'Odore della notte

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M'innamorai della luce, perché ero solo, cieco e morto . Ho goduto di quello che non era il mio, ma ch'era per me: come se null'altro lo fosse mai stato. Ho respirato ove origina la vita, perché mi si togliesse il fiato. L'umettai con lacrime allorquando il volto m'adombrava , come fosse il Paese che s'era fatto carne . M'innamorai della notte, perché nel mentre che mi smorzava la luce , della Vita, io prepotente ne riconobbi l' Odore .

Era solo un treno

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Nel mio cielo s'aprì uno squarcio, un lampo improvviso e trasalii. «Mi accompagni alla stazione?», dalla sua voce mi resi conto che a tremare ero solo io. «Non farmi prendere il tassì, così ci salutiamo, no?», come se fossimo due vecchi amici, il cui fine ultimo era quello di spartirsi quattro baci sulle guance: caro, cara, è stato un piacere e tanti saluti.      Sei scatoloni 30x30x30 erano tutto ciò che rimaneva di sette anni passati a dirsi ti amo . Quella ch'era stata la locuzione più avvolgente, che consideravo d'arrivo e crociera, avevo finita per odiarla. Così come m'odiavo io: perché trincerato nel mutismo ero solo un povero stronzo, che non vedeva ciò che, forse, era sotto gli occhi di tutti.      La notte appena trascorsa la passai a sbraitare con la giugulare che lievitava assieme alle urla che tiravo e le frasi che imbastivo, sempre le stesse: perché non capivo. «Cos'è successo! Perché non parli con me! Abbiamo fatto l'amore fino all'altro ieri!

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